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di Salvo barbagallo

 

Giampiero Massolo il 18 gennaio ha scritto sul quotidiano La Stampa un significativo articolo dal titolo emblematico, “Libia, per salvarla serve un patto nel Mediterraneo”. Nel primo capoverso si legge: “Ammettere in fila le varie crisi internazionali, alla Libia spetta il primo posto per impatto sulla nostra sicurezza nazionale. Non è solo questione, se pur cruciale, di flussi d’immigrazione da frenare o di posizioni energetiche da tutelare. È soprattutto l’interesse ad evitare che perduri una situazione d’instabilità e di strisciante guerra civile, che dia spazio ad un pericoloso retroterra logistico per il terrorismo jihadista (…).

Giampiero Massolo traccia a fondo l’attuale situazione in Libia con un’analisi condivisibile, giungendo alla conclusione che “potrebbe aprirsi uno spazio per l’Italia (…) perché interessi di sicurezza necessitano al più presto di autorità libiche rappresentative che siano considerate in qualche modo “titolari” del dossier libico agli occhi della comunità internazionale (forse anche dell’amministrazione Trump). Le premesse per una forte iniziativa italiana, senza eliminare alcun interlocutore libico, ci sono tutte.”.

Condivisibile, dicevamo, quanto scrive Massolo ma – è nostra opinione – lo scenario presentato è limitativo: è dimenticato il passato. Anche se potrebbe essere più che giusta oggi “una forte iniziativa italiana”, si dovrebbe auspicare che una “nuova” iniziativa non rispecchi i canoni della precedente partecipazione attiva dell’Italia alla caduta del regime di Gheddafi.

Il punto cruciale – è sempre una nostra opinione – non è solo la Libia, nella sua complessa attuale articolazione politica-militare-sociale-economica: il punto cruciale sono i Paesi dell’intera area del Mediterraneo, il punto cruciale è l’area del Mediterraneo.

In più occasioni abbiamo scritto su questo giornale che è nel Mediterraneo che si gioca il futuro globale. Questo “futuro” si sta giocando ora, protagoniste le grandi Potenze che non riescono a trovare (o non vogliono?) un equilibrio necessario nella sfida per una leadership mondiale. Anche i Paesi che di certo non sono “grandi” Potenze vanno alla ricerca di un “ruolo” per stare al tavolo delle decisioni. Molte cose sono cambiate nell’arco degli ultimi dieci anni nell’area del bacino del Mediterraneo, e adesso resta solo una costante: la conflittualità fra le Genti. Apparentemente non ci sono più Regole certe per assicurare Pace e convivenza civile. Sul piano internazionale le Regole che codificano i rapporti fra Paesi, si chiamano Trattati, che i Governi stipulano per fare rispettare interessi reciproci. Nell’area del Mediterraneo da tempo le Regole sono saltate, le autonomie di diverse collettività nazionali sono state sovvertite spesso con la violenza, il più forte domina sul più debole nella logica del profitto da raggiungere con qualsiasi mezzo, senza guardare al danno che si provoca direttamente o indirettamente. Questo stato di cose, ora come ora, non riguarda, purtroppo, solo i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, ma è esteso nei vicini territori. Oggi non c’è Paese che non debba fare i conti con la propria economia interna, le “rivoluzioni” improvvise non hanno creato nuovi equilibri ma ulteriori, pesanti destabilizzazioni. Alle “primavere” annunciate sono seguiti inverni carichi di dissesti sociali, il verbo coniugato al futuro raramente ha tenuto conto delle difficoltà, individuali e collettive, del presente. Adesso il quadro che si presenta è a forte tinta oscura e sembra che per la luce non ci sia posto. Il futuro è una meta non visibile, la durata del presente è ignota. Il presente si vive male, i problemi non vengono fronteggiati se non ponendo scadenze per un “dopo” che sicuramente molti non raggiungeranno mai.

Tutto ciò dimenticando (volutamente?) che in un recente passato un importante Trattato, quello di Barcellona, aveva creato le giuste e opportune premesse per un futuro migliore e diverso da quello che ci ritroviamo a vivere come “presente”. Un “processo di pace” al quale venne dato il none di Partenariato Euro Mediterraneo, avviato dall’Unione europea, che all’epoca contava 15 stati membri, e da altri 12 stati della regione durante la conferenza di Barcellona che si riunì il 27 novembre e il 28 novembre 1995. Alla conferenza parteciparono come osservatori gli Stati Uniti. Successivamente, dopo l’allargamento dell’Unione europea avvenuto nel 2004, Malta e Cipro che partecipavano al processo come Paesi terzi, divennero parte del processo come membri dell’Unione Europea. La Libia non era presente alla conferenza poiché Gheddafi ritenne che quest’ultima non fosse altro che un tentativo dell’Unione europea di rincorrere una posizione egemonica esterna ai propri confini. Tuttavia, nel 2000 la Libia riconobbe e sottoscrisse gli obiettivi del processo di Barcellona.

L’obbiettivo primario del Partenariato Euro-Mediterraneo era quello di trasformare il Mediterraneo in uno spazio comune di pace, di stabilità e di prosperità attraverso il rafforzamento del dialogo politico e sulla sicurezza, un Partenariato economico e finanziario e un Partenariato sociale, culturale ed umano. E proprio in materia di sicurezza (articoli 6/10) così si esprimeva il Protocollo d’intesa sottoscritto:

  1. I partecipanti alla conferenza di Barcellona hanno deciso di istituire un dialogo politico globale e regolare, a complemento del dialogo bilaterale previsto dagli accordi di associazione. Inoltre, la dichiarazione definisce alcuni obiettivi comuni in materia di stabilità interna ed esterna. Le parti si impegnano ad agire in conformità della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, come pure di altri obblighi a norma del diritto internazionale, segnatamente quelli risultanti dagli strumenti regionali ed internazionali. Sono più volte ribaditi i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (comprese la libertà di espressione, la libertà di associazione, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione). La dichiarazione precisa che occorre accogliere favorevolmente, mediante il dialogo tra le parti, gli scambi di informazioni su questioni attinenti ai diritti dell’uomo, alle libertà fondamentali, al razzismo ed alla xenofobia.

  2. Le parti si impegnano ad introdurre lo Stato di diritto e la democrazia nei loro sistemi politici, riconoscendo in questo quadro il diritto di ciascun partecipante di scegliere e sviluppare liberamente il suo sistema politico, socioculturale, economico e giudiziario.

  3. I firmatari si sono inoltre impegnati a rispettare la loro uguaglianza sovrana, l’uguaglianza di diritti dei popoli e il loro diritto all’autodeterminazione. I partecipanti hanno inoltre convenuto che le relazioni tra i loro Paesi poggiano sul rispetto dell’integrità territoriale, sul principio di non intervento negli affari interni e sulla composizione pacifica delle controversie.

  4. Le parti hanno inoltre convenuto di combattere il terrorismo, la criminalità organizzata e il flagello della droga in tutti i suoi aspetti.

  5. Le parti si sono inoltre impegnate a promuovere la sicurezza regionale, adoperandosi, tra l’altro, a favore della non proliferazione chimica, biologica e nucleare mediante l’adesione e l’ottemperanza ai regimi di non proliferazione sia internazionali che regionali, nonché agli accordi sul disarmo e sul controllo degli armamenti. Le parti perseguono l’obiettivo di creare un’area mediorientale priva di armi di distruzione di massa.

Ecco, se si deve per “ragion di Stato” dimenticare (o cancellare!) il passato e gli impegni assunti e sottoscritti, quale credibilità può avere oggi una (dovuta) iniziativa tendente a (ri)stabilizzare un Paese soltanto (la Libia) là dove un’intera area geografica è scossa da lotte fratricide, spesso alimentate dall’esterno? Quali “nuove” forze (non militari) possono agire con consapevolezza e credibilità?

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