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di Salvo Barbagallo

 

In più circostanze il ministro dell’Interno Marco Minniti ha lanciato l’allarme sui foreign fighters che dopo le sconfitte dell’Isis potrebbero finire in Europa, sbarcando in Sicilia e attraversando l’Italia, ed è allarme anche per l’eventuale permanenza dei jihadisti nel nostro Paese. Le rivelazioni del quotidiano inglese “The Guardian”, su informazioni dell’Interpol, dello sbarco nelle spiagge di Agrigento di cinquanta foreign fighters ha riproposto all’attenzione pubblica la questione, ma già nell’ottobre dello scorso anno Minniti parlando a Firenze alla Festa del Foglio, aveva affermato: Abbiamo migliaia di foreign fighters, per fortuna in Italia si parla di cifre vicino a 100. Abbiamo però migliaia di foreign fighters partiti dall’Africa. Un anno fa se mi avessero chiesto se i foreign fighters sarebbero potuti venire in Italia in barca, avrei risposto ‘no’. Ora invece è un’ipotesi concreta (…) In questi dieci mesi abbiamo avuto un’ossessione per il confine meridionale della Libia che è sempre più il confine meridionale dell’Europa contro il terrorismo e contro i trafficanti di esseri umani (…). E il 22 novembre il ministro dell’Interno intervenendo nell’Aula di Montecitorio al seminario su Difesa e sicurezza organizzato dall’Assemblea Parlamentare della Nato, aveva sottolineato: I terroristi dell’Isis, sconfitti sul piano militare, potrebbero utilizzare i flussi migratori dal Nord Africa verso l’Europa e in particolare verso l’Italia per alimentare la loro minaccia terroristica nei confronti del mondo occidentale. Il rischio è reale.

Il punto focale della situazione presente e dell’immediato futuro resta quello che riguarda la condizione politica e militare della Libia, un Paese che dall’eliminazione di Gheddafi non ha trovato la sua stabilità e che, nonostante i “controlli” dell’Onu e le partecipazioni attive sul campo di diversi Paesi, Italia in testa. Come lo stesso Minniti ha sottolineato negli ultimi incontri che ha avuto a Washington con il segretario alla Giustizia Sessions e quello alla Homeland Security Nielsen, e il capo dell’Fbi Wray “Il problema non è solo che i terroristi possono transitare per la Libia, ma che si fermino per costituire piattaforme di attacco verso l’Europa”. Forse, però, il ministro dell’Interno italiano è fin troppo ottimista quando definisce la Libia un Paese a instabilità controllata, dove comincia ad emergere in filigrana un possibile modello di gestione dei flussi migratori basato sul controllo del confine marittimo e quello meridionale, e la presenza delle organizzazioni dell’Onu.

Come Gianandrea Gaiani ha evidenziato su “Analisi Difesa”, Da anni l’intelligence ci ha rivelato gli stretti rapporti (e non solo finanziari) tra terrorismo islamico e traffico di esseri umani e ci sono moltissimi casi documentati di jihadisti infiltratisi in Europa dalle rotte libiche e balcanica, per non parlare del fenomeno ben più ampio dell’infiltrazione di gruppi malavitosi legati alla mafia nigeriana o ai clan di spacciatori maghrebini (…)  Le flotte militari d’altura italiane ed europee dovrebbero bloccare barchini, gommoni e barconi di fronte alle coste libiche e tunisine e consegnare gli occupanti alle autorità di questi paesi impedendone l’arrivo illegale in Italia. Alcune piccole imbarcazioni potrebbero sfuggire a questi dispositivi navali ma i mezzi leggeri di Guardia Costiera, Guardia di Finanza e altre forze di polizia potrebbero agevolmente “sigillare” le coste siciliane intercettando quasi tutti i tentativi di infiltrazione. Non mancano uomini e mezzi per farlo, sembra invece latitare la volontà politica. Recentemente il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha annunciato davanti ai media di tutto il mondo al Forum economico di Davos che l’Italia non chiuderà i suoi porti all’immigrazione illegale. In questo modo non solo si incoraggiano i flussi illegali e il business dei trafficanti ma si rinuncia a ogni forma di deterrenza nei confronti di criminali e terroristi rafforzandone la consapevolezza che l’Italia ha rinunciato a controllare le sue frontiere.

Resta un dato che difficilmente si può confutare: il passaggio dalla Sicilia di jihadisti, criminali e trafficanti di esseri umani è obbligato e, in un certo senso, più che facile: sul territorio le misure di prevenzione per la sicurezza messe in atto, alla fine, possono essere insufficienti e non adeguate a fronteggiare ogni possibile evenienza.

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