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di Salvo Barbagallo

 

Sulla pelle dei migranti ruotano interessi inconfessabili e, forse, c’è stato anche chi si è ricordato che l’attuale Governo della Libia – quello di Fayez al Sarraj – è stato voluto e imposto dall’Onu e che fra i suoi sostenitori (soprattutto a livello economico e supporto militare) c’è pure l’Italia.

È noto, risaputo e riconosciuto che il “problema migranti/fuggitivi” pesa principalmente, sul nostro Paese e le polemiche ora c’è chi le considera “strumentali” (anche con il beneficio del dubbio) per porre in difficoltà l’Italia (come sta accadendo) nei rapporti con l’UE. Può essere legittimo ritenere (con il punto interrogativo) che la questione migranti possa essere considerata uno “strumento” emotivamente valido per distogliere l’attenzione da ciò che accade “realmente” nell’area del Mediterraneo. Tematiche che i mass media non pongono in forte evidenza, quando (raramente) ne parlano. Si ritrovano, qua e là, degli articoli che descrivono uno scenario che dovrebbe preoccupare, se non allarmare: la consistente presenza di forze navali militari di Potenze mondiali da un capo all’altro nelle acque del Mediterraneo. Forze navali militari che, di certo, non navigano in questo mare per la presenza dei barconi dei disperati, mentre non si sa bene cosa sta accadendo in Libia, e a Tripoli in particolare.

Per esempio. Poco tenuta in considerazione la notizia pubblicata sul quotidiano La Stampa giorni addietro che “La milizia Al-Kani della cittadina di Tarhouna, 50 chilometri a Sud della capitale, ha lanciato un’offensiva verso il centro e il porto di Tripoli. I motivi ufficiali sono sconosciuti ma sembra un tentativo di prendere il controllo di tutta la zona meridionale della capitale. Sui social sono apparse foto di carri armati nelle strade ed edifici in fiamme. I combattimenti più duri, che avrebbero fatto tre morti e undici feriti, sono in corso nei quartieri di Soug al-Jouma, Khallat Furjan, Wadi Rabea e Salahaddine. A difesa della città e del governo di unità nazionale guidato da Fayez al-Serraj sono intervenute altre due milizie, il Battaglione rivoluzionario di Tripoli (Trb) e il 301esimo battaglione. I combattenti fedeli al premier hanno eretto barricate nella zona di Soug al-Jouma e Tajoura e bloccato l’avanzata. I miliziani di Tarhouna si sono adesso posizionati anche nel quartiere di Qasir Benghashir (…).

L’incrociatore russo Admiral Penteleyev

Per esempio. Poco tenuta in considerazione l’informazione pubblicata data da Davide Bartoccini sul quotidiano Il Giornale giorni addietro che (…) A preoccupare Washington è la crescente attività navale russa registrata nell’Atlantico, nei mari del Nord (Gap Giuk) e anche nel Mediterraneo. Alcuni funzionari della Nato e degli Stati Uniti hanno inoltre affermato che l’attività navale russa è ai massimi livelli dalla fine della Guerra fredda. La presenza di sottomarini russi, che rappresentano una minaccia tangibile qualora dovesse verificarsi un’escalation che portasse a conflitto tra la Nato e la Russia, hanno preoccupato l’Alleanza fino a ricostituire basi avanzate per la sorveglianza e la lotta antisommergibile. La presenza di questa minaccia è stata al centro del recente summit dell’Alleanza atlantica, e la mossa degli Stati Uniti non può non fare eco a questa scia allarmista che vede sempre Mosca dall’altro capo della “cortina” (…).

Il bombardiere strategico missilistico russo Tu 160

Così come nel “disinteresse” generale cade il reportage di Lorenzo Vita (sul quotidiano Il Giornale) che evidenzia: Secondo quanto riporta il quotidiano israeliano Haaretz, che cita i siti che monitorano il traffico navale nel Bosforo, sarebbero già 16 le imbarcazioni della marina militare russa presenti nel Mediterraneo orientale. Nei giorni scorsi, dai porti della Crimea sono partite la fregata Pytlivy della classe Kruvak, e due navi da sbarco  classe Alligator, ovvero la Orsk e la Nikolay Filchenkov. A queste imbarcazioni, si sta aggiungendo anche la fregata Admiral Makarov che ha di recente passato il Canale della Manica in direzione del Mediterraneo. Proprio quest’ultimo passaggio aveva provocato la reazione della Gran Bretagna che aveva dato ordine alla flotta di controllare e “scortare” la nave della marina di Mosca. Un dispiegamento massiccio che conferma la volontà russa di rispondere a quanto minacciato da Washington e Parigi. E che si inserisce nel quadro delle recenti dichiarazioni del generale Igor Konashenkov che ha già segnalato la presenza di navi della marina degli Stati Uniti pronte ad attaccare la Siria (…) Pochi giorni fa, il portavoce russo aveva segnalato la presenza del cacciatorpediniere lanciamissili Uss The Sullivans nelle acque del Golfo Persico. La nave possiede 56 missili da crociera che possono colpire in territorio siriano ed è presente nel Golfo dagli inizi di agosto, soprattutto in chiave anti-iraniana (…) Il 25 agosto il cacciatorpediniere della Marina Militare americana Uss Ross è entrato nel Mediterraneo con 28 missili Tomahawk, in grado di colpire tutto il territorio della Siria”.

Ed è sempre Lorenzo Vita che segnala un altro “dettaglio” di ciò che accade nell’area del Mediterraneo: (…) La guerra delle spie fra Russia e Stati Uniti si arricchisce di un nuovo teatro operativo: il mare Egeo. La Grecia è da sempre al centro dello scontro, come Paese a cavallo fra blocco legato a Washington e sfera d’influenza russa. I legami culturali e politici di Atene con Mosca sono sempre stati forti, anche se adesso molto meno solidi. E allo stesso tempo, l’appartenenza al blocco Nato e all’Unione europea ha consolidato l’essenza occidentale della strategia ellenica. In questa sfida continua fra i due poli, non sorprende quindi che anche oggi la Grecia sia il campo di battaglia non di una guerra combattuta con gli eserciti, ma con le spie. Soprattutto in una fase in cui la Russia ha ripreso a muovere la sua flotta nel Mediterraneo, la Turchia è sempre più una mina vagante e il Mediterraneo orientale rappresenta l’area di scontro fra potenze regionali e internazionali. A descrivere un frangente di questo scontro di spionaggio e controspionaggio nell’Egeo è il quotidiano greco Real che ha pubblicato un’inchiesta su una lista di 50 imbarcazioni che circola fra Guardia costiera e marina miliare e il comando dell’Alleanza atlantica. Secondo le informazioni ottenute dal giornale ellenico, si tratta di barche da diporto, sia a vela che a motore, che in realtà navigano fra le isole dell’Egeo e le coste greche per raccogliere informazioni. E naturalmente gli occhi, ancora una volta, sono puntati sulla Russia. Il fatto che Grecia e Nato mostrino entrambe preoccupazione nei confronti delle presunte operazioni dell’intelligence russa, non deve sorprendere (…).

Ed è ancora Lorenzo Vita che mette in guardia: (…) C’è dell’altro ed è un qualcosa di strategico che all’apparenza non sembra fondamentale, ma che in realtà è una delle tante chiavi di lettura per comprendere i conflitti che caratterizzano i nostri giorni: l’accesso al Mediterraneo. Nonostante sia stato considerato per molto tempo un mare quasi secondario rispetto ad altri fondamentali per le rotte mercantili e le materie prime, il Mediterraneo ha assunto in questi anni un valore molto più rilevante. Tutti vogliono entrarci e tutti vogliono mantenere le loro basi e i loro porti. E la sfida fra potenze non è solo per avere l’accesso a questo mare, ma anche per negarlo o per strappare queste porte. In questo momento storico, il Mediterraneo è tornato a essere il perno della strategia di almeno due superpotenze: Russia e Stati Uniti.

Lanciamissili cinese

Ma anche la Cina sta iniziando un graduale percorso di inserimento. E nello stesso tempo, è evidente la volontà di Israele e Turchia di ergersi a nuove potenze marittime regionali per uno scacchiere, quello del Mediterraneo orientale, che rappresenta la chiave per comprendere il futuro di tutta la regione. A questo si aggiunge la centralità dei Paesi europei e dell’Unione europea, sia come mercati che potenze regionali. E non va sottovalutato il ruolo dell’Iran, che ricerca l’acceso a questo mare (…) va anche ricordato che la Cina, nel 2017 ha svolto le sue prime esercitazioni navali nel Mediterraneo e nel Baltico insieme alla marina militare russa. Notizie non secondarie, visto che si è trattata della prima operazione della marina miliare di Pechino in un mare molto lontano dalla sua tradizionale area operativa. Ma è stato anche un segnale della sfida a Washington. Così come la flotta americana e quelle occidentali operano nel Mar Cinese Meridionale, allora anche la flotta dell’Esercito popolare può interferire in un mare considerato da sempre sotto il controllo dell’Occidente (…).

Come può notarsi, le informazioni vengono fornite, il guaio è che manca una concreta attenzione (autonoma o manipolata) per guardare “oltre” ai fatti contingenti: così si perde di vista il quadro generale, non si vede lo scenario complessivo, non si riescono a individuare i “reali” interessi che sono in gioco nell’area del Mediterraneo. Nella stessa “disattenzione” cade la presenza militare statunitense in Sicilia e su ciò che rappresenta (solo per esempio) la Naval Air Station di Sigonella, “non tenendo in conto” che proprio da Sigonella partono verso la sponda opposta del Mediterraneo le “missioni” dei droni armati Predator e Global Hakws, e quant’altro di “bellico” ora esiste “made in USA” sul territorio siciliano e che non si conosce.

Dunque è retorico l’interrogativo se la “questione migranti” viene “utilizzata” per distogliere l’attenzione o “coprire” (cosa che sarebbe ancora più grave e pericolosa) la vera situazione che oggi condiziona l’area del Mediterraneo? Non è che la “sfida globale” fra le grandi (e piccole) Potenze si sta giocando proprio il quest’area?

L’ammiraglio Vladimir Koroliov

Intanto, come ci informava pochi giorni fa una nota dell’Agenzia Ansa “Esercitazioni su larga scala delle forze navali e aerospaziali russe si svolgeranno dall’1 all’8 settembre del 2018 nel Mar Mediterraneo sotto il comando del capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Vladimir Koroliov”. L’Ansa riprendeva una informazione fornita dallo stesso ministero della Difesa russo che, fra l’altro, precisava “che si prevede il dispiegamento di “25 navi da guerra e battelli di supporto guidati dall’incrociatore missilistico Maresciallo Ustinov”, aggiungendo e specificando che “nello spazio aereo internazionale, attività di addestramento saranno messe in atto con circa 30 jet, tra cui i bombardieri strategici missilistici Tu 160, gli aerei antisommergibili Tu 142 Mk e II 38, i caccia Su 33 e Su 30Sm dell’aviazione Marina”.

Non ci sarebbe altro da aggiungere, se non sottolineare – come riporta ancora l’Agenzia Ansa – quanto affermato dalla portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova in previsione di un possibile attacco degli Stati Uniti alla Siria che potrebbe avere “conseguenze imprevedibili e arrecherebbe un grave colpo al processo di pace in Siria e alla sicurezza globale del quale è impossibile prevedere le conseguenze del giocare con il fuoco”.

Una prospezione delle flotte USA e russe dell’ottobre 2016

Così mentre l’Europa litiga sulla “missione Sophia” (per il salvataggio dei profughi), nello scenario del Mediterraneo le “sfide” possono anche degenerare in qualcosa di irreversibile per la pace nel mondo. E tutto ciò, ovviamente, nella consapevolezza dell’indifferenza generale, l’attenzione indirizzata verso problematiche che la politica europea non mostra la volontà di trovare adeguate soluzioni.

Tutto ciò dimenticando posizione e ruolo d’Italia nel contesto dell’area del Mediterraneo, dimenticando che la base militare più avanzata degli USA è in Sicilia a Sigonella, da dove decollano giorno e notte verso obbiettivi ignoti, ma nell’altra sponda del Mediterraneo, i droni statunitensi Predator; e dimenticando pure la pericolosa situazione in Libia, a due passi dalla Sicilia, con Tripoli che “brucia”, come scrive il quotidiano Il Mattino, e con il Governo italiano preoccupato che i nuovi venti d’instabilità che soffiano dalla Libia possano far ripartire nuovamente i migranti verso i nostri porti, senza tenere nel debito conto che può accadere di peggio. Una situazione incandescente che, forse inconsapevolmente, si tende a sottovalutare.

Intanto, da ieri 2 settembre a Tripoli è “stato d’emergenza”. Chi inizia a muovere le mosse di questa nuova “sfida globale”?

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