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di Fabio Caffio

 

L’improvvisa escalation, attuata dalla Turchia, della disputa sulla titolarità da parte di Cipro dei diritti relativi alla Zona economica esclusiva (ZEE), sembra avere come obiettivo l’Italia. Lo scorso 10 febbraio, navi da guerra turche hanno, com’è ormai noto, intimato alla Piattaforma galleggiante Saipem 12000 di non raggiungere il punto da trivellare nel Block 3 della della ZEE cipriota. L’area in contestazione è ad est dell’Isola, nella zona di mare prospiciente la Repubblica Turco Cipriota del Nord (RTCN) riconosciuta solo da Ankara.

Il Presidente Erdogan, nella sua visita a Roma dello scorso 4 febbraio, sembra avesse sollevato la questione della legittimità della concessione di sfruttamento di giacimenti gassosi, rilasciata all’Eni da Nicosia, in tale Block. Alle parole sono ora succeduti i fatti come oramai accade da anni nelle acque contese da Turchia, Cipro e Grecia nell’ambito della pluriennale disputa greco-turca dell’Egeo.

La questione dovrebbe riguardare, più che aspetti di diritto del mare (come invece è per l’altro Block 6 ad ovest di Cipro concesso egualmente all’Eni da Cipro e rivendicato da Ankara), il diritto della Repubblica Turco Cipriota del Nord a ricevere compensazioni finanziarie in ragione della prossimità dell’area di concessione al territorio da essa controllato.

Non è questo il luogo per discutere né degli antefatti politico-diplomatici delle vicende della RTCN, nè delle sue attuali prospettive di soluzione o degli aspetti giuridico-politici della disputa sulla Zee cipriota. Ci si vuole soltanto interrogare su quale debba essere la risposta italiana all’azione militare turca, visto che il nostro Paese è coinvolto da vari punti di vista.

A livello diplomatico c’è stata già una protesta turca contro di noi, e questo sicuramente basta ad immaginare che l’Italia abbia reagito con i toni ed i modi più opportuni.

L’interesse italiano nella vicenda nasce dal fatto che azionista di controllo dell’Eni è, per il 30%, il nostro Ministero dell’Economia e Finanze in tandem con la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) anche se rilevante è l’azionariato di fondi esteri.

Simile la situazione della Saipem, public company  partecipata per il 12% dalla CDP e dall’Eni stessa per il 30%. La Saipem è inoltre proprietaria della nave per perforazione, battente bandiera delle Bahamas, Saipem 12000 bloccata dalla Marina Turca.

Quello che interessa sottolineare è che utilizzare forze navali per impedire trivellazioni in acque contese non è certo in linea con i principi internazionali di soluzione pacifica delle controversie.

Si pensi al caso avvenuto nel settembre 1980 quando un sommergibile libico intimò alla Saipem 2 di cessare le prospezioni condotte per conto di Malta sul banco di Medina. E si ricordi che qualche anno fa i Turchi avevano adottato analoghe strategie contro un’altra nave di perforazioni della Saipem.

Ci aspetteremmo, a questo punto, che un’unità navale della nostra Marina Militare sia già in navigazione verso la zona ove è avvenuto l’incidente, nell’ambito dei compiti istituzionali di protezione dei diritti e degli interessi italiani all’estero.

L’amicizia con la Turchia, cui ci legano, oltre ad un cospicuo interscambio economico, antiche relazioni risalenti ai tempi di Ataturk, non può impedirci ora di mostrare la bandiera per significare materialmente la nostra presenza!

 

FONTE: ANALISIDIFESA.IT

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